Il Gregge Immune

Il clamoroso ritrovamento di una parabola inedita di Gesù

La Gazzetta del Mezzogiorno mi ha chiesto un’ opinione su un tema che sta diventando attuale in maniera preoccupante: il ‘No’ al vaccino, un problema che riguarda da vicino l’intera comunità e che potrebbe vanificare drammaticamente i nostri sforzi per uscire da questa pandemia che ci sta massacrando. Io mi sono vaccinato quando è toccato a me e, al posto dell’opinione richiesta, ho preferito mandare un racconto che la contiene e che, a mio avviso, è molto più significativa ed efficace.

Racconto

Questa è la storia di un clamoroso ritrovamento: una parabola inedita di Gesù, non riportata in nessuno dei quattro Vangeli, che ho avuto l’opportunità di leggere in anteprima assoluta.
S’intitola Il Gregge Immune e il suo ritrovamento , avvenuto di recente , è legato a un scoperta precedente avvenuta intorno al 1947, subito dopo la fine della seconda guerra mondiale.
Siamo in Cisgiordania, tra Gerico e Bethlehem; esattamente a Qumran, una zona rocciosa e desertica lungo le rive del Mar Morto.
Muhammad ed-Dib, un giovane pastore beduino, per recuperare una pecorella del suo gregge che si era smarrita, così com’era accaduto a un altro pastore in una precedente e nota parabola, s’infilò in una grotta e scoprì casualmente delle giare in terracotta contenenti dei rotoli di pergamena avvolte nel lino.
I rotoli, in seguito denominati Rotoli del Mar Morto, risalgono a circa 2.000 anni fa e sono ritenuti una delle più importanti scoperte archeologiche di tutti i tempi in quanto contengono una versione della vita di Gesù diversa da quella riportata dai Vangeli finora conosciuti.
A scriverla sono stati gli Esseni , una comunità di monaci ebrei, ritiratisi nelle grotte di Qumran per dedicarsi alla vita ascetica, dopo che si erano dissociati da Farisei e Sadducei , altre due sette ebraiche di Gerusalemme, ritenute troppo corrotte e poco osservanti del vero credo della Bibbia (La Torah).
Il ritrovamento recente si deve ancora una volta a un pastore che, colto da un temporale improvviso, si è rifugiato con il suo gregge nella medesima grotta del ’47 e, in un anfratto, ha trovato un ennesimo papiro, evidentemente fuoriuscito dalle giare ritrovate tempo prima.
Quando lo scritto è stato tradotto dall’aramaico, si è scoperto che era una parabola inedita di Gesù.
Curiosamente, come protagonisti, ha un altro pastore e un gregge ma, l’aspetto ancora più sorprendente, è che la parabola è di un’attualità incredibile, proprio come se fosse stata scritta ai giorni nostri.
L’ho avuta clandestinamente da un amico ebreo, di cui non posso fare il nome, e l’ho riportata qui di seguito, integralmente, nella certezza di fare cosa gradita.

Il Gregge Immune

In quel giorno Gesù, uscito da casa, si recò presso il mare; e una gran folla si radunò intorno a lui; cosicché egli, salito su una barca, vi sedette. Tutta la folla stava sulla riva ed egli consegnò loro un insegnamento in parabola, dicendo:
«Un giorno , un fulmine a ciel sereno fulminò un giovane pastore che si era allontanato troppo dall’ovile , cosicché il gregge si ritrovò di colpo solo e sperduto in una valle deserta. Il gregge era numeroso ed era formato da pecore bianche, ma in mezzo c’era qualche pecora nera e anche qualche pecora zoppa, oltre a sei montoni che per procreare, così come ha disposto il Padre mio anche per gli ovini, si accoppiavano ora con l’una ora con l’altra pecora nell’unica posa consentita alla loro specie, spesso utilizzata anche da noi umani che , avendo delle alternative, non ne avremmo necessità. Il povero gregge smarrito provò a ritrovare la strada per tornare all’ovile ma non ci riuscì; e allora di comune accordo decisero all’unanimità di stabilirsi nella zona, tanto sapevano che nessuno sarebbe andato a cercarle. Il loro pastore , Ahimè! , era morto e perciò non poteva accadere, come già accaduto in un’altra mia parabola, che ci fosse qualcuno che potesse recuperare il gregge smarrito. La zona, grazie al Padre mio, era benigna e il gregge poteva abbeverarsi all’acqua di un ruscello, brucare l’erba di un prato rigoglioso e anche rifugiarsi per la notte nelle grotte che v’erano nei dintorni. Non udivano più il suono della voce del pastore e neanche il suono del suo piffero, ma esse tiravano a campare e le giornate scorrevano tranquille. Un bel giorno però. Anzi, una brutta notte il maligno sconvolse la vita del gregge. Uno dei tanti chirotteri , degli strani volatili aggrappati a testa in giù alla volta della grotta ove dimorava anche il gregge, diede un morso a una pecora. Sembrava una cosa da nulla, ma già alla terza ora del mattino, la pecora cominciò ad accusare dei malesseri strani. Faticava a camminare e non sentiva più né l’odore né il sapore delle erbe che brucava, né il suo stesso puzzo che , si sa, come fetore non ha nulla da invidiare a quello della cugina capra. Poi le venne meno anche il respiro, come se non avesse più polmoni, e dopo qualche giorno, si accasciò al suolo e andò a pascolare su altri prati, non più verdi ma celesti. Si pensò a un caso isolato ma, col passar dei giorni, qualche altra pecora accusò gli stessi sintomi e lasciò questa terra. Poi fu la volta di un montone e anche di un agnellino di pochi mesi, noto come abbacchio. Si cominciò allora a sospettare che il malanno fosse contagioso e così decisero di distanziarsi e ridurre al minimo i contatti tra loro; che per un gregge, abituato per natura a essere gregge, distanziarsi era cosa insolita e dolorosa, ma lo fecero, a malincuore, ma lo fecero. Non tutti però osservarono le disposizioni concordate, in primis le pecore zoppe e poi anche quelle nere ; e così i contagi aumentarono e ci fu una vera e propria moria. Allora ecco che la Provvidenza, nei panni di un’eremita che viveva in una grotta su in alto, andò in loro soccorso. Si chiamava Hilaria-sha ma tutti la chiamavano la Sha-Capua , come l’isola lontana da cui proveniva. Era una santa donna e viveva con un’anziana capra, che si chiamava Ha-Stra e aveva un latte miracoloso (zenec) capace di guarire qualsiasi tribolazione. Quando la Sha-Capua scese a valle con la sua capra, per farla abbeverare al ruscello, si accorse di cosa stava accadendo alle povere pecorelle e decise di intervenire. Cominciò a distribuire il latte santo della sua capra al gregge rimasto ma, siccome la quantità di zenec che l’anziana Ha-Stra riusciva a produrre giornalmente non bastava per tutti, si stabilirono dei turni. Un giorno furono allattate le pecore più anziane, poi quelle in cinta e i montoni, che garantivano la riproduzione della specie, e infine toccò anche alle pecore zoppe e a quelle nere. L’obiettivo era abbeverare tutti e raggiungere il prima possibile l’immunità del gregge. Ma ci fu qualcuno poco avveduto che si comportò da stolto. Siccome c’era stata qualche pecora che era morta subito dopo aver bevuto il latte miracoloso, uno dei montoni, temendo per la sua incolumità , decise di non abbeverarsi. Tanto – pensò– una volta che si sarà raggiunta l’immunità di tutto il gregge, io sarò salvo comunque , quindi perché rischiare?
Dopo qualche giorno, l’immunità di gregge fu raggiunta e tutti gioirono , compreso il montone che si complimentò con se stesso per essersi messo al sicuro senza alcun rischio e, per festeggiare, si accoppiò per tutta la notte con la più prosperosa delle pecore nere. Solo che al mattino trovò la compagna accasciata. Respirava a fatica e tra le lacrime, gli confessò che per paura non si era abbeverata al latte miracoloso. Nel sentire questo, al montone gli si drizzò il vello. Uscì come una furia dalla grotta, corse a perdifiato dalla Sha-Capua e, dopo averle confessato la sua grave mancanza, la implorò di darle un po’ di zenec di Ha-Stra.
«Mi dispiace»,disse la Sha-Capua, mortificata.« Ma la mia povera capra è in piena agalassia».
Il montone non capì.
«Ha perso il latte per lo stress», spiegò la santa donna. «E tu, stolto montone, hai perso l’occasione di salvarti. Ora sei nelle mani di Dio, ma non credo che egli alzerà un dito per salvarti.
E infatti papà mio non lo alzò», concluse Gesù.«E lo stolto finì nelle fornaci ardenti, dove c’è pianto , fetore e stridor di denti».
Detto questo, Gesù, lasciate le folle, se tornò a casa pensando che il Padre era stato troppo severo e che ‘per amor di Dio’ avrebbe potuto perdonare lo stolto montone.
Non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire - tuonò una voce dall’alto. E concluse - Chi è colpa del suo mal, pianga se stesso.